Giuseppe Berto visto attraverso Il cielo è rosso

Giuseppe Berto non è stato un autore particolarmente celebre e molti non ne conoscono le opere (magnifiche) e la vita (ricca di avvenimenti e riflessioni profonde). Un autore mai del tutto compreso, sia quando era ancora in vita – non ebbe vita facile con gli editori – e neanche da morto perché non gli sono stati celebrati i giusti onori.

Ma andiamo per grado: nasce da Ernesto (un maresciallo che lascia la divisa per amore) e da Nerina Peschiutta. Il padre e la madre, pur di stare insieme decidono di provare a lavorare e vivere delle loro sole forze e questo porterà ad una condizione di vita non agiata.

Nonostante non si tratti di una famiglia benestante, il giovane e promettente Giuseppe viene mandato al Liceo Antonio Canova dove mostra grande valore e dedizione anche perché sente le fatiche genitoriali. Il rapporto tra padre e figlio inizia, però, ad incrinarsi quando si tratta di pagare gli studi universitari.

A questo punto della sua vita subisce la fascinazione fascista (egemonica in quel periodo) e si iscriverà nel Regio Esercito e mandato in Sicilia ed entra nella Gioventù Italiana del littorio. Non si tira indietro nemmeno quando, nel 1935, inizia la guerra in Abissinia e ci va da volontario. Ritornerà in Italia ma siamo già al 1939 quando l’Italia sta per entrare nel secondo conflitto mondiale e si arruola nuovamente come volontario ma finirà, alla fine, prigioniero in Texas in un campo di concentramento.

Berto inizia a scrivere romanzi 

Proprio durante la prigionia in America come parte degli sconfitti, insieme ad altri intellettuali, inizia a riflettere della guerra, delle perdite, delle decisioni prese dall’alto ed inizia a scrivere.

Come la sua anima si dovesse liberare, finalmente, di una serie di emozioni per troppo tempo trattenute nel contesto della battaglia e della sopravvivenza; ora, lì, rinchiusi, derisi, puniti per essere stati coloro che “hanno scelto la parte sbagliata per la quale combattere”, lì Giuseppe Berto riflette e scrive Il cielo è rosso. Quel cielo rosso dei bombardamenti che Berto non vive direttamente ma che non manca di immaginare nel dettaglio della distruzione e del dolore e della tragicità che ne segue.

Il cielo è rosso è un romanzo che vede la guerra da strani sopravvissuti, un gruppo di adolescenti che – orfani – vivono in una sorta di comune aiuto gli uni con gli altri ma che smetteranno di essere innocenti molto presto, costretti a vivere il dolore della guerra.

 Il cielo è rosso ed il successo di Berto 

La trama di Il cielo è rosso è forte, emotivamente molto intensa come lo è anche lo stesso Berto.

Siamo a Treviso, nel 1931, una notte Giovanna torna a casa dalla madre e dal fratello Augusto. Di mestiere, Giovanna si prostituisce e una buona parte del guadagno va ai familiari. Perciò, quando arriva incinta e decisa a tenere il bambino, madre e fratello sono furiosi e vogliono che lei interrompa la gravidanza. Tutto inizia in modo decisamente cruente: famiglie anaffettive, legate al denaro perché tutto intorno c’è la vera miseria, la fame e si deve cercare di sopravvivere e tutto il resto sembra sciocco e superfluo.

La trama è di quelle drammatiche ma di quella drammaticità che fa ancora più male perché si sa bene essere la nostra vera storia; quella che si cerca di dimenticare e che si è cercato di ricoprire con le costruzioni e gli investimenti economici del Piano Marshall ma senza riuscire a lavarsi via di dosso quel dolore profondo. Si tratta di disadattati, di emarginati, di distrutti emotivamente che – in un modo o in un altro – sprofondano in altro dolore perché sembra che da quel ricordo (il ricordo della guerra) non ci si possa liberare facilmente.

Berto ci prova, a suo modo, anche scrivendo di tutto questo quando sta già maturando che Mussolini non ha mai amato la Patria ma solo sé stesso, che ha fatto morire migliaia di italiani inutilmente e che ha prodotto solo macerie esterne ma, anche, macerie dell’anima. Nemmeno la morte di Mussolini riuscirà a cancellare quel dolore e Berto non vuole dimenticare eppure non si colpevolizza per aver creduto nella Patria pur non avendo compreso (dall’inizio) per chi combattesse davvero. Berto vuole condannare la violenza ma non vuole, per farlo, disconoscere quello che è stato e con quel passato ci continua a fare i conti ma senza nascondersi. Questo, però, va detto con onestà intellettuale, non gli vedrà risparmiate delle critiche.

Giuseppe Berto resta uno scrittore davvero dirompente ed emotivamente molto intenso che ha avuto il coraggio di mostrare al mondo le proprie fragilità senza filtri e senza inganni. E mai in modo banale!

Ludovica Cassano

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