Un cast d’eccezione per un tentativo ampiamente riuscito
La settima arte riaccoglie il gioco di ruolo fantasy più famoso al mondo.
L’universo di Dungeons & Dragons torna a distanza di anni a occupare il grande schermo.
Un tentativo ben riuscito.
Comico.
Irriverente.
Incoerente.
L’onore dei ladri incarna finalmente il vero spirito di D&D, conferendo un margine (seppur non troppo esteso) di tecnicismo nerd alla narrativa fantasy.
Beholder accennati e Belve distorcenti in estatica caccia all’uomo caratterizzano un’ambientazione congruamente coerente con un modo fantastico, ma con le sue regole.
Paradossi e humour tagliente accompagnano un gruppo di eroi ed eroine quanto mai improvvisato ed eterogeneo, ma ben rispondente a ogni buona caratterizzazione GDR che si rispetti.
Chris Pine appare a suo agio nei panni di un diffidente ma sensibile ladro. Professione per necessità, ma il confine tra necessità e ambizione è spesso labile. Specie tra magia, elfi e tesori.
Michelle Rodriguez impersona appieno il physique du rôle della situazione, guerriera-ladra dura e pura, aspra quando serve e perfettamente coerente con la propria pluriennale caratterizzazione da combattente.
Hugh Grant ormai completamente calato nei panni dell’ambiguo buffone della situazione, vestito di quell’ironia tutta anglosassone di eleganza e buone maniere che tradisce sempre qualche debito di ipocrisia.
Regé-Jean Page sempre più icona british spaccaschermo, a furor di popolo riconosciuto come bellone di turno, affascinante e pedante, penetrante e disarmante. Paladino per definizione, latore di quel savoir-faire ostentatamente britannico che ci ricorda qui perché non sfiguri neanche insieme a due grandi calibri come Ryan Gosling e Chris Evans in The Gray Man.
Il filone narrativo si arricchisce di un’ambientazione finalmente canonica, fornendo richiami per giocatori e appassionati.
Siamo nella Forgotten Realms, ambientazione tra le più importanti dell’universo D&D. Non mancano quindi rimandi a videogiochi mito come Baldur’s Gate, dall’omonima città, a Neverwinter, celebre gioiello sulla Costa della Spada e scenari che riportino i grandi a essere piccoli e i piccoli a voler essere grandi.
Neverwinter sembra proprio King’s Landing (Approdo del Re) de Il Trono di Spade. Quale che sia il riferimento primario, è gradevole un duplice riferimento in una sorta di continuum immaginifico fantasy.
Draghi, paladini e maghi rossi si avvicendano impreziosendo una storia che prosegua spedita e divertente, con momenti di totale ludibrio alternati a un profondo orizzonte di tragicità.
Notevole lo sforzo dei registi Jonathan Goldstein e John Francis Daley di rendere l’intera pellicola una tragicommedia in cui sguardi e pause comiche non appesantiscano una sinossi sferzante ma che non si prenda mai veramente sul serio.
Un fantasy che rimanga un fantasy senza pretese di satira o velata critica politica, se non un contrasto di ingiustizie e sfortune che si autoalimentino fino a spezzarsi nel finale.
La vera protagonista della pellicola è l’importanza delle decisioni.
Particolarmente apprezzabile l’enfasi posta sulle scelte di ogni personaggio in relazione a cause e conseguenze delle proprie azioni. Goldstein e Daley complementano la massiva dose di ironia sparsa qui e lì con interrogativi individuali esistenziali, dando luogo a sfide personali e accettazioni di un presente che è già futuro, pur rimanendo presente.
La pellicola ci suggerisce che la forza delle nostre scelte definisce chi siamo.
Chi vogliamo essere ha senso solamente se riusciamo a concretizzare la nostra volontà sacrificando qualcosa.
Per una giusta causa.
Lasciare andare sembra l’unica scelta sensata e giusta, leggera come il volo di libellule più o meno magiche svolazzanti qui e lì, ali che rappresentino una leggerezza guadagnata, personificando una necessità superiore al proprio egoismo, perché essere eroi a volte implica proprio sacrificarsi per un bene superiore.
di Lorenzo Cuzzani