Lucy: Un Luc Besson 3.0 subordina l’azione a interrogativi esistenzialisti

Conoscenza e potere nel catalogo Netflix

Lucy, 10 anni dopo.

Finalmente Netflix e Sky hanno arricchito il proprio catalogo con qualcosa di differente dalla narrativa dominante.

Nonostante siano entrambe inondate di film e serie in cui si avvicendino eroine tutte uguali e dai tratti simili secondo la moda del momento, con l’introduzione di questa pellicola segnano una linea di discontinuità rispetto alla corrente del momento.

È interessante osservare uno sceneggiato di ben 10 anni fa, dove, nonostante il contesto fantascientifico, gli interrogativi posti siano quanto mai attuali e concreti.

Figli di metascienze forse, ma volano di riflessioni più nobili che mere questioni di principio.

O di ideologia.

Giova notare come stavolta Netflix abbia privilegiato l’erudizione, piuttosto che l’ambizione.

La conoscenza è sempre stata potere.

È sempre stata fonte di potere e genesi o conseguenza del processo evolutivo.

Luc Besson sembra alquanto sensibile alla riflessione di cui sopra, al punto di ipotizzare uno stadio in cui l’intero scibile umano possa essere fruito da un singolo individuo, il cui potere cerebrale si esprima nella completezza delle sue facoltà: quel 100%, che, più che improbabile scientificamente, appaia utopia anche solo in via potenziale.

La riflessione che impone lo sceneggiato è profonda.

Nascosta tra elementi cinematografici cari al regista francese, come la presenza di un’eroina forte e consapevole di se stessa, le sparatorie incrociate spiccatamente caotiche e una colonna sonora che spesso sottolinei l’azione come protagonista principale, tale riflessione rivendica il proprio ruolo all’interno della storia, ponendosi come prima attrice in un contesto cinematografico che utilizzi il cinema d’azione come volano per un pensiero più ampio: il dinamismo caratteristico di Besson è qui utilizzato per proporre interrogativi superiori, che assurgano a una dimensione filosofica non scevra però di un certo utilitarismo.

È curioso come l’evento scatenante lo sbloccamento delle facoltà intellettive di Lucy (casualmente lo stesso nome del primo esemplare umano di sesso femminile di cui il mondo abbia notizia) sia di natura assolutamente ignobile. Qui risiede il contrasto tra la causa e l’effetto, quando un fatto propriamente dannoso e sprezzante della natura umana porti a una conseguenza nobile, avveniristica, iperuranica, pur con sviluppi problematici e incontrollabili.

Almeno in via temporanea.

In una narrazione dove sia palese una ambientazione ulteriore, un qualcosa che difficilmente possa essere concepito, se non in meta scienze o racconti di fantascienza, è la protagonista a riportare la sensibilità dello spettatore su un piano di “normalità”, introducendo un aspetto, banale, che spesso si è portati a non considerare: il tempo.

Ponendo l’attenzione sulla rilevanza del suo inesorabile e immutabile incedere, si è proiettati verso una realtà palese, verso un mondo concreto che non si discosti da quello effettivo; di colpo ci si accorge che i bruschi conflitti a fuoco, le repentine corse in macchina, le violenze reiterate e la cornice musicale pesante che accompagnino questo exploit non siano che un contorno, un insieme di elementi che provino a distogliere, ma che invece catalizzino l’attenzione sul centro di tutto il film: il raggiungimento del completo controllo di tutte le facoltà intellettive potenzialmente (non ci è dato saperlo) raggiungibili da un individuo.

Questo pone non pochi interrogativi etici e morali, proprio perché l’etica e la morale sono due strumenti di conoscenza potenti, ma la mente umana difficilmente è pronta a convivere con una conoscenza che scaturisca da un potere infinito, generandone uno altrettanto sconfinato.

L’immensità di un potere è il parametro della sua estrema pericolosità: questo è un ragionamento ragionevole. Ha guidato l’umanità a delimitare, circoscrivere e stigmatizzare spesso e volentieri ogni forma di potere troppo grande da essere controllato. Ma questo è un pensiero legato alle tenebre dell’ignoranza, mentre l’eroina si propone di dare la sua risposta, disinteressata, suprema e votata al bene, ai timori legati alla gestione di un potere senza fine, illuminando, proprio di saggezza, i dubbi più cupi della natura umana: “l’ignoranza porta il caos, non la conoscenza”.

Il caos ha generato l’ordine, l’ordine non esisterebbe senza caos, la conoscenza è la condizione attraverso la quale l’ordine viene mantenuto. Diffusione della conoscenza vuol dire diffusione di ordine: allo stato attuale delle cose, probabilmente, questa circolazione del sapere non c’è stata, altrimenti il grande Besson non avrebbe avuto lo spunto per dimostrare quanto l’essere umano sia avvezzo a seguire solo uno dei due termini del paradigma paradossale creato dai due opposti.

Lorenzo Cuzzani

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