Il titolo non è di certo un caso.
Un pronome possessivo attribuito ad un’adolescente, ragazza semplice e ribelle, con le richieste strampalate ma normali, difficili ma non impossibili da gestire, nel periodo più duro. Il film si condensa in una libertà perduta.
La libertà di avere dei bisogni, la libertà di scelta e la possibilità di avere propri sogni, magari “sbagliati”, irraggiungibili e non condivisibili.
Perché il sottotesto del film è proprio questo: cosa c’è di sbagliato ad avere dei desideri, seppur non convenzionali, se questi stessi sono giovani, in erba e senza malizia.
Il possesso è certamente il tema centrale del film, che è un crescendo di tensione.
Ci regala momenti di delicatezza mista a tenerezza ma al tempo stesso investe il pubblico di tensione emotiva in un crescendo di paura.
Edoardo Leo mette un nuovo tassello alla sua interpretazione, semplice, per quanto magistrale, crudo nella sua impotenza di uomo medio, senza che questo sia necessariamente negativo.
Il grande successo di “era ora” uscito da poco su Netflix non è bastato al nostrano e romano che continua a centrare il punto.
Non tanto nella recitazione quanto nel riuscire a sfondare lo schermo senza di fatto poter fare niente, mentre il mondo gli crolla addosso, o peggio di fianco.
Leo sa perfettamente quali corde toccare, della società, delle emozioni e dello spettatore, è capace di accompagnare gli altri personaggi in un tripudio di emozioni, nella difficoltà di relazionarsi ma al contempo nella voglia di farlo e superare le già grandi difficoltà.
Ivano Di Matteo, regista, che guida poco per la scelta di un qualcosa che può succedere a chiunque.
Nella tragicità e fugacità della vita.
Gli si cuce infatti perfettamente addosso il ruolo di padre imperfetto, che riprende in questo dramma tutto italiano coinvolto nel dover crescere una figlia adolescente, mantenendo un contatto con la propria identità, quella del lavoratore gentile e marito presente.
Porta le ambulanze Leo, quell’ambulanza per cui tutto ad un tratto sarà costretto a portare la figlia, piega irriverente quanto inquietante che lo vedrà essere trascinato in un oblio senza fine, e pensare che tutto doveva partire dal motore del mondo, un giovane amore puro.
Arriva come un pugno nello stomaco il film intitolato “Mia”, e che è un nome possessivo.
Che non riesce a rimanere “sua” e a rimanere fedele al suo nome, sganciandosi dalle gabbie del vincolo familiare, ricadendo vittima di una nuova prigione.
Ed è proprio questo l’intento.
Dal “Mia sarai per sempre Mia”.
Arianna Tomassetti