Primo Levi. L’uomo che ha guardato in faccia l’orrore

Il 27 gennaio si è celebrata la Giornata della Memoria per commemorare le vittime della Shoah (Olocausto). Data che deve far riflettere, per non dimenticare fin quanto la crudeltà umana possa spingersi. Proprio per ricordare, trattiamo Primo Levi, uno dei maggiori punti di riferimento letterari, nonché intellettuale, che con la propria penna è riuscito ad imprimere il dolore e lo smarrimento umano.

L’esperienza di Auschwitz

Primo Levi nasce a Torino nel 1919, città nella quale morirà nel 1987.

Scrittore simbolo della memoria contro lo sterminio razziale a danno del popolo ebraico per opera dei nazisti. Con il suo romanzo Se questo è un uomo vince il Premio Strega e il Premio Campiello.

Uomo di cultura, estremamente puntuale e raffinato, si dedica all’arte della scrittura probabilmente per necessità di esternare le tormentate emozioni che proverà durante la prigionia e, successivamente, la gratitudine dell’essere uno dei pochi sopravvissuti.

Primo Levi, infatti, fu prelevato e portato nel campo di concentramento a Fossoli per poi, nel 1944, essere spostato nel definitivo campo di concentramento di Auschwitz. Questa struttura ha mostrato al mondo la depravazione nazista. In questo luogo morirono circa 1 milione di prigionieri – tra i quali la maggior parte ebrei – e transitarono moltissimi “schiavi di Hitler”. Levi diventerà uno di questi schiavi grazie alle sue conoscenza di chimica che lo aiutarono a sopravvivere che gli concessero di avere trattamenti migliori.

Tristemente noto è un documentario prodotto e realizzato dalla RAI nel quale si accompagna Levi in quel luogo degli orrori, ormai consegnato alla storia e diventato un museo per la memoria. Si tratta di un documentario che, a mio avviso, va ricercato e visto con attenzione perché l’uomo Levi – prima che il noto intellettuale – affrontando i demoni del proprio passato, ci accompagna, guidandoci, verso la salvezza dell’anima. Ci si sente sottoposti ad una specie di espiazione di fronte ad un essere umano che racconta con lo sguardo pieno di dolore di chi ha visto e non ha potuto far nulla. Proprio quell’impotenza regge tutta l’intervista e la rende unica.

Noi non conosciamo Primo Levi per quella intervista televisiva bensì per la scrittura del romanzo Se questo è un uomo nel quale si interroga su cosa renda ciò che è un essere umano e se lo stesso possa continuare a sentirsi tale se spogliato di tutte le abitudini e regole sociali quotidiane che lo connotano. È una scrittura intensa seppure molto centellinata e misurata, da buon uomo di scienza quale Levi fu, che sospende il giudizio e si interroga in una serie di domande che non terminano con la lettura ma si aggrappano al lettore.

Prima della cattura, primo levi entrerà in un gruppo di giovani partigiani nella zona di Col de Joux e di quel periodo dirà che erano tutti ingenui e sprovveduti; preferì (dopo essere catturato) dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano. Tutto questo nonostante le leggi razziali in Italia erano già state enunciate.

Se questo è un uomo un romanzo per descrivere l’orrore dell’Olocausto

Per introdurre questo immenso romanzo esperienziale, ci affidiamo alle parole dell’autore che ne inizia così la narrazione.

 

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un si o per no […]

 

Romanzo nel quale l’autore descrive la propria esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz-Monowitz (campo di lavoro, uno tra i tanti dove troveranno la morte gli schiavi di Hitler). Levi descrive e non colpevolizza; è un’opera molto cruda nella descrizione di ciò che il prigioniero ha potuto vedere ma non vuole mai ergersi a essere superiore bensì ricordare chi non ce l’aveva fatta. Lo stesso autore dirà che la propria sopravvivenza era stata frutto di una serie di coincidenze favorevoli. Levi aveva conoscenze di fisica e chimica che gli permisero di lavorare in un settore del campo di lavoro oltre ad avere qualche nozione di tedesco che lo aiutò a farsi trattare meglio.

Leggendo Se questo è un uomo non si può non notare una sorte di sottile senso di colpa che accompagna l’autore che non riesce, a tratti, a perdonarsi di aver dovuto utilizzare dei sotterfugi per vivere. Questo e tutta la psicologia che Levi utilizza per descrivere i suoi carnefici e gli altri detenuti mostra quanto ci si possa spingere per sopravvivere e cosa significhi davvero vivere. Vivere se ti vengono tolti, di punto in bianco, tutte le certezze – anche piccole – che identificavano la tua precedente vita!

Resta un’opera imponente perché tratta un tema che non va assolutamente dimenticato e che può, in qualsiasi momento, riaffiorare magari cambiando gli abiti e parlando in modo “leggermente” differente.

All’inizio la pubblicazione di Se questo è un uomo fu molto travagliata; sia Natalia Ginzburg che Cesare Pavese – entrambi consulenti della casa editrice Einaudi – dichiararono di non volerlo pubblicare poiché vi erano stati già molti romanzi trattanti lo stesso tema. Levi vedrà pubblicato il suo più famoso romanzo grazie alla visione di Italo Calvino che lo fece pubblicare nella sezione Saggi della casa editrice Einaudi nel 1958.

Ludovica Cassano

 

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