Never beat the classic
In un momento in cui siamo bombardati da ideologia woke, è bene tornare alle origini, con la fortunata serie capostipite da cui tanto si sono distanziate le successive.
Una serie che ha lanciato lo showrunner Nic Pizzolatto, i cui lavori successivi sono andati in decadimento rispetto alla prime serie.
Per non parlare della quarta, completamente mistificata di una retorica stucchevole e ridondante, ma non più appartenente al geniale Nic, bensì a chi abbia cercato di seguirne e sfruttarne le orme, senza riuscirci.
Non è un caso che la serie non sia disponibile su Netflix ma su Prime Video, dal momento che vanti un impianto troppo lontano dagli sdoganati e deviati canoni estetici del gigante di Los Gatos.
Maniacale.
Ossessiva.
A tratti compulsiva.
Nonostante un nome che indichi come attività primaria lo svolgimento di indagini, True detective è una serie la cui caccia a un omicida paia quasi subordinata al discettare semi onirico del protagonista (Rust Cohle-Matthew McConaughey), più o meno perso a dissertare sull’esistenza, sul senso della vita, farcendo le proprie riflessioni di un nichilismo e un pessimismo tali da richiamare alla memoria i migliori pensieri di Nietzsche e Schopenhauer. Migliori, nella loro maturità più profonda. Figli di una riflessione storica, se connessi ai loro padri filosofi.
Pericolosi, se utilizzati da un detective il cui unico credo sia il non credere.
In nulla.
In nulla di superiore.
In nulla di buono in questo mondo.
Il centro dello sceneggiato è alimentato dai suoi contrasti con il più semplice e prevedibile collega, Marty Hart (Woody Harrelson), mente meno acuta ma più concreta, sognatore che ha smesso di sognare, padre di famiglia più impostato ma non per questo più retto. Il rapporto che ne scaturisce si traduce in una contraddizione continua: il cinismo disilluso di Rust non intacca la morale apparentemente inattaccabile di Marty. Sono uniti unicamente da uno scopo, un fine che oltrepassi il semplice lavoro, superi il senso del dovere. Ciò che li lega è anche ciò che li disunisce. Vivono in simbiosi ma preferirebbero il distacco più totale.
Sullo sfondo, il tentativo di reprimere tanta efferatezza, di ricercare l’origine dello scempio che ha dato i natali alla loro indagine, una genesi figlia del male.
Un male difficilmente spiegabile, in cui satanismo incroci pedofilia, rapimenti, presunte cospirazioni e quel dubbio atavico che attanagli lo spettatore: ognuno può vedere quello che vuole vedere.
Cullati e angosciati da una splendida colonna sonora, sulla falsariga dell’atmosfera oscurantista della storia, si è proiettati in una dimensione surreale, dove più ci si avvicini alla verità, più si scopra di essere lontani. Più si approfondisca l’interiorità dei personaggi, più si venga abbracciati dalle tenebre che ivi regnino.
Non sovrane, non incontrastate, ci sono sempre delle stelle che rischiarano un cielo apparentemente privo di ogni luce.
Lorenzo Cuzzani